Morto un papa...e poi? Se ne fa un altro!
Edy Generoso Fummo
4/22/2025

Morto un Papa... e poi?
I papi muoiono. Sempre. Come ogni altro essere umano. Fin qui nulla di nuovo. Morto un papa, se ne fa un altro. Potremmo anche chiudere qui e avremmo detto una verità semplice, lineare, indiscutibile. Ma c'è di più, molto di più.
Perché ogni volta che un papa muore, si apre un sipario. Un sipario carico di retorica, di cerimonie millenarie, di parole trite e di lodi forzate. Si spalanca una narrazione che ha poco a che vedere con la realtà, ma molto con l'apparenza. Francesco di qua, Francesco di là, Francesco uomo dell'amore, del cambiamento, delle aperture. Ma davvero è così? Davvero è cambiato qualcosa?
I papi sono esseri umani
Un papa è, prima di tutto, un uomo. Nato da un grembo, cresciuto, invecchiato, destinato a morire. Un uomo, con i suoi limiti, le sue fragilità, e sì, anche i suoi privilegi. Il ruolo che riveste è scomodo e carico di responsabilità, ma non è diverso nella sostanza da qualsiasi altra figura pubblica posta a capo di un sistema. E la Chiesa, checché se ne dica, resta un sistema. Antico, poderoso, condizionante. Un sistema che è cambiato poco, pochissimo, nei suoi aspetti più profondi.
Il riformismo illusorio
Si parla di papa Francesco come di un riformista. Ma riformista di che? Prima di lui la Chiesa era segnata da scandali, abusi, rigidità. Oggi è segnata da... scandali, abusi, rigidità. Gli omosessuali non erano accettati prima e non lo sono nemmeno adesso. Le donne avevano ruoli marginali prima, e li hanno ancora oggi. Gli scandali di pedofilia erano un'ombra costante prima, e continuano ad esserlo adesso.
Non è cambiato molto, se non la narrazione. La forma. L’apparenza. La sostanza è rimasta pressoché intatta, mentre il mondo attorno cambia, soffre, si lacera. E la Chiesa, che potrebbe essere un rifugio di coscienza, resta troppo spesso una fortezza di rituali, gerarchie e silenzi.
I dimenticati della Terra
Mentre si celebrano messe solenni e si scrivono editoriali, altrove si muore. Ogni giorno, alla stessa ora in cui si piange un papa, centinaia di bambini muoiono di fame. A Gaza, come in tanti altri luoghi dimenticati del mondo. Morti silenziose, irrilevanti, che non meritano necrologi sui giornali, né dirette televisive. Perché non sono papi. Perché non indossano abiti bianchi. Perché non fanno parte dell’apparato.
E allora viene da chiedersi: qual è il vero volto della spiritualità? Quello che indossa anelli dorati, o quello che dorme su un cartone all’angolo di una strada? Chi incarna davvero il messaggio originario del Cristo: il pontefice circondato da guardie e cerimonie, o il barbone che divide l’ultimo pezzo di pane con un altro invisibile?
Spiritualità senza ornamenti
Ci sono uomini e donne senza dimora, senza titoli, senza pulpiti, che esprimono una spiritualità viva, autentica, profonda. Nessuno li celebrerà. Nessuno dedicherà loro un servizio speciale. Ma sono lì, in silenzio, testimoni di un modo altro di vivere il sacro. Un modo più vicino a quello che, forse, Gesù stesso avrebbe riconosciuto.
Non è questione di odio o disprezzo. È questione di lucidità. Di verità. Di guardare al di là dei veli e delle vesti. Di ricordare che ogni istituzione, per quanto sacra si proclami, resta umana. E che l’umanità è fatta di limiti, di errori, e anche di illusioni ben costruite.
Morto un papa se ne fa un altro. Ma fuori, nel mondo reale, i piccoli Cristo senza nome continuano a soffrire. E forse sono loro, oggi, i veri custodi del divino.
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