

“L’uomo che dimenticava il suo volto"
All’inizio fu solo uno specchio. Un giorno l’uomo si specchiò e non vide più nulla. C’erano i tratti, certo — naso, occhi, una bocca che lo fissava — ma niente lo riconosceva. Non si spaventò. Solo si sedette e rimase lì, per ore, con lo sguardo svuotato, come se stesse aspettando qualcosa che non aveva nome.
Gli altri, preoccupati, gli chiesero: — Ti sei perso?
E lui rispose, quasi sussurrando: — Mi sto trovando.
E non aggiunse altro. Cominciò a dimenticare le parole inutili, i gesti imparati, i sorrisi finti. Smise di alzare la voce, di avere ragione, di voler piacere. Era come se si stesse togliendo, piano piano, da sé stesso. Un giorno, camminando nel bosco, vide una foglia che cadeva a rallentatore. Non la raccolse. Le sorrise come si sorride a chi ci insegna a lasciar andare
Ogni giorno si dimenticava un po’ di più:
del suo mestiere, dei suoi doveri, dei suoi sogni spiegati male. Ma diventava sempre più lieve. E c’era qualcosa in lui, qualcosa di invisibile ma vero, che cominciava a brillare. Quando passava, gli uccelli tacevano per un istante. Le bambine smettevano di litigare. E anche i vecchi, per un momento, si ricordavano di non aver paura. Qualcuno lo chiamò santo. Qualcun altro pazzo. Lui rideva piano, come chi sa che non esistono né santi né pazzi, ma solo forme diverse di dimenticare. L’ultima cosa che lasciò andare fu il suo nome. Poi svanì, proprio come aveva vissuto: senza rumore, senza gloria, ma con una presenza che rimase incisa nell’aria,come un profumo che non si sa da dove venga ma fa bene al cuore.


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