

“C’era una stanza fatta d’ombra e di silenzio",
dove i sogni andavano a riposarsi prima di diventare ricordi. In quella stanza, seduto su una sedia che non faceva rumore, c’era lei. La Morte.
Non aveva falce, né mantello. Portava una camicia bianca stropicciata e il profumo di un bosco in autunno. Aveva occhi buoni, sorprendentemente buoni. E uno sguardo che sapeva aspettare. Davanti a lei, in piedi, c’era una donna. Non era spaventata. Più che altro, sembrava incuriosita. Si chiamava Lya, ma il nome non contava più.
- Cos’hai fatto di me, tutto questo tempo? - chiese lei. La Morte sorrise, come fa chi ha già ascoltato quella domanda mille volte ma non si stanca mai di rispondere. - Ti ho aspettata. Senza fretta. Perché non è vero che io prendo. Io ricevo. Quando siete pronti. -
Lya chinò la testa, pensierosa. - Credevo che la morte spegnesse. Invece, da un po’… mi accende. Ogni giorno di più. -
- È la magia evolutiva, - rispose lei. - Quando smetti di difendere ciò che credi di essere, cominci a vivere davvero. E allora, morire diventa solo un altro modo per restare. -
La donna sorrise, ma con una dolcezza triste. - È paradossale, non trovi? Si vive davvero solo quando si impara a morire. -
- Non è un paradosso. È un’arte. E tu l’hai imparata. - Lya lo guardò. Poi chiuse gli occhi e sentì il proprio corpo farsi aria. La stanza non era più fatta d’ombra. Era fatta di luce, adesso. Una luce sottile, come l’anima quando smette di appartenere a qualcosa.
La Morte si alzò. - Non sei morta, Lya. Sei solo diventata trasparente. - Lya non disse nulla. Ma il suo silenzio era una carezza su tutte le vite che aveva amato. E fu allora che scomparve. Ma non se ne andò. Rimase. Come rimangono le cose che hanno smesso di essere, ma continuano a respirare dentro chi le ha incontrate.


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